Le Sezioni Unite sui requisiti di ammissibilità dell’appello: la riforma del 2012 ha solo tradotto in norma i principi dettati dalla giurisprudenza.

Le Sezioni Unite sui requisiti di ammissibilità dell’appello: la riforma del 2012 ha solo tradotto in norma i principi dettati dalla giurisprudenza.
08 Gennaio 2018: Le Sezioni Unite sui requisiti di ammissibilità dell’appello: la riforma del 2012 ha solo tradotto in norma i principi dettati dalla giurisprudenza. 08 Gennaio 2018

Nell’ormai interminabile sequela di provvedimenti legislativi diretti ad abbreviare la durata dei giudizi civili si è inserito quello che (col d.l. n. 83/2012 convertito in legge n. 134/2012) ha riformulato gli artt. 342 e 434 c.p.c., riguardanti i requisiti di ammissibilità dell’appello. Questo il testo delle anzidette disposizioni, riformulato dalla novella: “La motivazione dell'appello deve contenere, a pena di inammissibilità:1) l'indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado;2) l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata”. Non sono mancate pronunce di merito (es.: Trib. Reggio Calabria 27.1.2014, Trib. Monza 25.3.2014, Trib. Roma 28.9.2017) e pure di legittimità (Cass. Civ. n. 177712/2016) secondo le quali, oltre a quanto esplicitato nelle predette disposizioni, l’appellante avrebbe ora l’onere di “offrire un progetto alternativo di risoluzione delle controversia”, se non addirittura “un progetto alternativo di sentenza rispetto a quello contenuto nella sentenza appellata”. Questa impostazione è però contraddetta da un orientamento giurisprudenziale ben presto divenuto dominante. Per chiarire ogni dubbio le Sezioni Unite sono intervenute, con la sentenza n. 27199/17, precisando quale sia la reale portata della novella. La pronuncia si fonda su una puntuale ricostruzione dell’evoluzione giurisprudenziale verificatasi in merito alla natura del giudizio d’appello nel sistema delle impugnazioni che ha portato ad identificare il secondo grado di giudizio come una revisio priori istantiae, e non come un novum iudicium. Da questa classificazione si sono fatti derivare da un lato l’effetto devolutivo dell’atto d’appello (tantum devolutum, quantum appellatum) e dall’altro quello sostitutivo della sentenza di secondo grado. E’ da queste premesse che le Sezioni Unite (SS. UU. n. 4991/1987) hanno dapprima affermato che “l'onere di specificazione dei motivi d'appello esige che la manifestazione volitiva dell'appellante, indirizzata a ottenere la suddetta riforma, trovi un supporto argomentativo idoneo a contrastare la motivazione in proposito della sentenza impugnata”, sì da soddisfare il requisito della “specificità” che era prescritto dal testo previgente dell’art. 342 c.p.c.. In un secondo tempo si è affermato (SS. UU. n. 16/2000) che, a differenza di quel che si era sino ad allora ritenuto, il difetto di specificità dei motivi d’appello non rappresenta un motivo di nullità dell’appello, come tale sanabile per effetto della costituzione dell’appellato, ma deve esser sanzionato "con la pronuncia d'inammissibilità dell'appello proposto, proprio perché il giudice, rilevato il vizio dell'atto, inducente il passaggio in giudicato della sentenza, non può non rilevare che il giudizio d'impugnazione non può giungere alla sua naturale conclusione e cioè al giudizio sulla denunciata ingiustizia della pronuncia impugnata". Su queste premesse SS.UU. n. 27199/17 ha ritenuto che, in realtà, la novella del 2012, “lungi dallo sconvolgere i tradizionali connotati dell'atto di appello, ha in effetti recepito e tradotto in legge ciò che la giurisprudenza di questa Corte, condivisa da autorevole e maggioritaria dottrina, aveva affermato già a partire dalla sentenza n. 16 del 2000 suindicata, e cioè che, ove l'atto di impugnazione non risponda ai requisiti stabiliti, la conseguente sanzione è quella dell'inammissibilità dell'appello”. Più nel dettaglio, i Giudici di Piazza Cavour, hanno affermato: “Ciò che il nuovo testo degli artt. 342 e 434 cit. esige è che le questioni e i punti contestati della sentenza impugnata siano chiaramente enucleati e con essi le relative doglianze; per cui, se il nodo critico è nella ricostruzione del fatto, esso deve essere indicato con la necessaria chiarezza, così come l'eventuale violazione di legge. Ne consegue che, così come potrebbe anche non sussistere alcuna violazione di legge, se la questione è tutta in fatto, analogamente potrebbe porsi soltanto una questione di corretta applicazione delle norme, magari per presunta erronea sussunzione della fattispecie in un'ipotesi normativa diversa; il tutto, naturalmente, sul presupposto ineludibile della rilevanza della prospettata questione ai fini di una diversa decisione della controversia. Va quindi riaffermato, recuperando enunciazioni di questa Corte relative al testo precedente la riforma del 2012, che nell'atto di appello deve affiancarsi alla parte volitiva una parte argomentativa, che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice”. In sostanza, la parte appellante è ora tenuta (come lo era prima della novella), a pena di inammissibilità, a: a) indicare i capi della sentenza (o le loro “parti”) che intende impugnare; b) esplicitare le specifiche ragioni di critica che intende contrapporre alla motivazione con la quale la sentenza appellata ha giustificato la decisione assunta con detti capi o “parti”; c) avendo ovviamente cura di evidenziarne la rilevanza ai fini della diversa decisione che essa richiede al Giudice d’appello. Nessun obbligo di formulare “progetti alternativi di sentenza” (o di impiegare “formule sacramentali”) ha invece l’appellante, come le Sezioni Unite hanno ribadito nel principio di diritto che hanno enunciato: “Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l'atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado".

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